La modella pochi giorni fa ha scritto una lettera al New York Magazine aprendo un dibattito sulla proprietà delle immagini del corpo femminile

Non è la prima volta che le immagini di alcune donne vengono utilizzate a loro insaputa recando danni psicologici e personali alla loro persona, sia che si tratti di personaggi pubblici, come nel caso della modella inglese Emily Ratajkowski, sia che si tratti di donne non famose.

Emily Ratajkowski

Il revenge porn su Telegram e il deepfake

Uno dei fenomeni sociali diventato una pratica quotidiana è il revenge porn, ovvero lo scambio o la vendita di foto di ex partner – pescati per ricatto o estorsioni – ma anche di ignare utenti e addirittura di bambini. Il primo caso noto risale al 2017 quando il volto dell’attrice Gal Gadot era stato sovrapposto a quello della protagonista di un porno. Da allora il fenomeno è cresciuto così tanto che a ottobre del 2019 sul web si contavano oltre quattordici mila e cinquecento contenuti pornografici.

Gal Gadot

L’inchiesta condotta da Wired Italia all’inizio del 2020 ha rilevato che il fenomeno sociale, oltre a causare conseguenze psicologiche devastanti, ha causato il licenziamento di alcune donne dal posto di lavoro. Se prima le vittime del revenge porn erano soprattutto celebrità adesso, nel settanta per cento dei casi, è gente comune di diversa nazionalità e anche minorenni.

L’inchiesta ha rivelato anche che la maggior parte dei materiali pornografici vengono scambiati nei gruppi di Telegram, la chat russa con migliaia di iscritti. Per fortuna ci sono state molte segnalazioni e alcuni personaggi famosi hanno supportato le vittime come il cantante Fedez, marito dell’imprenditrice Chiara Ferragni, che si è rivolto alla Polizia sperando che la sua popolarità potesse aiutare alla causa.

Ad oggi non esistono strumenti di sicurezza per difendere le donne e gli stessi gruppi criminali continuano a sparire e a rinascere nonostante Telegram li cancelli. Di recente, sempre nella messaggistica russa, si sta diffondendo l’uso di un programma automatico in grado di ritoccare le immagini di donne svestendole: circa seicento ottanta mila donne sono state già denudate virtualmente. Si tratta di deepfake, la nuova frontiera del revenge porn, ovvero quando non possiamo credere nemmeno a quello che vediamo. È possibile che non c’è nessun modo per bloccare definitivamente questi criminali?

Marchi amorali e pubblicità sessista

Il marchio di abbigliamento e accessori “HOOR” che in lingua estone indica in modo dispregiativo il termine “prostituta”, il marchio delle zanzariere Genius responsabile di una pubblicità in cui una donna in abbigliamento intimo viene punta da una zanzara esclamando “mmmmh” e la casa automobilistica Ferrari che denuncia lo stilista di moda Philipp Plein per aver usato a scopo promozionale un’auto Ferrari insieme a delle ragazze in bikini danneggiando il buon nome del marchio: questi sono solo alcuni esempi di marchi amorali in cui la donna viene strumentalizzata al solo scopo di attrarre il consumatore.

Un modello Ferrari di colore verde al centro della foto che Philipp Plein ha postato sul proprio account Instagram

La casa automobilistica contro lo stilista ha infatti dichiarato che “I simboli della Ferrari nelle immagini sono associate a uno stile di vita non conforme a come il marchio è percepito dal pubblico, con performer che si esibiscono in gesti sessualmente espliciti e usando l’auto come un accessorio in un modo che è di per sé di cattivo gusto”.

Pochi giorni fa la Ferrari ha vinto la causa contro Philipp Plein per uso illegale del marchio ottenendo un risarcimento di trecento mila euro, mentre i casi citati all’inizio sono sono stati rigettati dall’EUIPO (NdR., EUIPO sta per l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intelletuale) perché, come dichiara l’articolo 14, lettera a) del Codice Proprietà Industriale, “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa: i segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume […]”. Nel mondo della comunicazione forse qualcosa sta cambiando.

Emily Ratajkowski e la molestia sessuale del fotografo che pubblicò un libro senza il suo consenso

Il 14 settembre 2020 Emily Ratajkowski ha scritto sul New York Magazine una lettera di sfogo sul meccanismo di riproduzione virale delle sue immagini tanto da affermare: “non ho più il controllo sulla mia immagine”. Dal paparazzo che l’ha citata in giudizio chiedendole cento cinquanta mila dollari per avere pubblicato la sua foto sul proprio account Instagram, all’artista Richard Prince che le ha chiesto ottanta mila dollari per una tela in cui era stata stampata una foto con la stessa Ratajkowski originariamente scattata per la copertina di una rivista: sono tante le storie di questo tipo che l’hanno coinvolta.

La foto del paparazzo che Emily Ratajkowski pubblicò sul proprio account Instagram

Emily Ratajkowski di fronte al lavoro dell’artista Richard Prince

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una storia tra tutte però ha scosso la modella, un fatto legato all’ignoranza e alla violenza di alcuni uomini – se possiamo defirli tali – prepotenti e prevaricatori. Infatti, come pubblicato sul New York Magazine, nel 2012 l’agente della modella organizzò un servizio fotografico per una rivista d’arte con il fotografo Jonathan Leder che, alla fine del servizio, molestò sessualmente la Ratajkowski.

La modella non parlò a nessuno riguardo alla molestia sessuale e, delle centinaia di scatti di Jonathan Leder, nella rivista d’arte ne comparvero solo una manciata. Alcuni anni dopo, però, Leder pubblicò un libro con centinaia di fotografie scattate durante il set del 2012 senza chiedere il consenso alla modella.

Jonathan Leder con una modella

Pubblicai dei tweet in cui spiegavo che questo libro era una violazione e che lui stava abusando della mia immagine per trarne un profitto senza il mio consenso. […] Dentro provavo un forte dolore”. L’avvocato della Ratajkowski contattò il New York Magazine per spiegare che Jonathan Leder non aveva il diritto di pubblicare quel libro ma il giornale rispose che il fotografo aveva fornito una copia della liberatoria firmata dalla ex agente della modella che ha sempre dichiarato di non averla firmata.

Il mio avvocato mi informò che procedere con la causa, a parte le spese, non avrebbe portato alcun frutto. Anche qualora avessimo vinto in tribunale, avrei semplicemente ottenuto di entrare in possesso dei libri e forse di poter chiedere una percentuale dei profitti. ‘E ormai le foto stanno già circolando. Internet è Internet’”.

* Credits to Tina Tyrell per l’immagine di copertina

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