Sei un professionista, un dilettante o un appassionato di cinema o teatro?
Qualunque sia la tua professione, se vuoi scrivere un copione o una sceneggiatura, esistono delle regole ben precise che tutti gli esperti del settore seguono sempre.

Per questo motivo, ti scriviamo 5 consigli pratici del famoso regista e sceneggiatore Toni Trupia che, in questa intervista, ci ha raccontato i “segreti del mestiere” e alcuni retroscena dei suoi lavori.

Toni Trupia, 40 anni, ha scritto la sceneggiatura dei famosi film “Romanzo Criminale” (2005), “Vallanzasca – Gli angeli del male” (2010) e  “7 minuti” del 2016 – tutte regie di Michele Placido – e ha diretto anche un proprio film, “Itaker – Vietato agli italiani” (2012). In questi mesi è impegnato con un nuovo film che dirigerà lui stesso.

Toni Trupia

Consiglio n. 1

Per il film “Itaker – Vietato agli italiani”, una delle tue regie più importanti, da dove sei partito per scrivere la storia?

Cerco di basarmi sempre su fatti ed esperienze reali, raccogliere  materiale e fare rierche: se devo pensare ad un consiglio per chi scrive un copione, questo è il primo che mi sento di dare.
La suggestione per questo film mi è arrivata dallo stesso Michele Placido, con il quale sto collaborando da anni: un giorno mi raccontò di aver conosciuto in Puglia un pizzaiolo che da bambino, negli anni ’60, aveva viaggiato da solo, fino a Torino, per conoscere il padre che lavorava lì e che non aveva mai incontrato.
Ero rimasto affascinato da questa storia – un bambino piccolo che affronta un viaggio così lungo, tutto solo – e pensai che sarebbe stato utile e necessario partire da un’ immagine così forte per scrivere una storia che parlasse di emigrazione. Però, erano già tanti i film che avevano trattato l’argomento dell’emigrazione dal Sud al Nord Italia ed è per questo che decisi di spingermi un po’ più in là, fino in Germania.“Itaker” parla appunto di Pietro, un bambino che parte per rivedere il padre che lavora come operaio in Germania. Non è da solo però in questo viaggio. È accompagnato da Benito, interpretato dall’attore Francesco Scianna, che con i bambini proprio non ci sa fare. Questa strana coppia vivrà una serie di avventure e il finale avrà un risvolto inaspettato, soprattutto per Scianna che si ritroverà a fare il padre suo malgrado.
Perfino i film di fantascienza o fantasy vengono scritti prendendo come spunto la realtà. Per esempio, i film di Spielberg sono metafore di particolari tensioni che caratterizzano il momento storico in cui sono stati realizzati: con la storia dell’extraterrestre E.T., il regista ha in realtà voluto parlare della paura del diverso, un tema che ancora oggi fa tanto discutere.

Una scena del film “Itaker – Vietato agli italiani”

Sempre in “Itaker – Vietato agli italiani”, oltre alla tematica dell’identità – di cui parleremo più avanti – vengono affrontate in maniera molto approfondita anche le condizioni di vita degli operai italiani in Germania. Come hai affrontato questo tema molto delicato?

Come ho detto prima, ogni volta che affronto un argomento, raccolgo molto materiale e mi documento. Per “Itaker”, infatti, ho fatto delle ricerche su internet e sui giornali dell’epoca, ma la svolta è arrivata quando ho trovato un libro contenente delle lettere di alcuni operai emigrati in Germania. Anche le registrazioni di Radio Colonia – programma radiofonico in lingua italiana, nato inizialmente per aiutare i connazionali emigrati in Germania – mi hanno regalato molte suggestioni preziose.
Poi, vorrei sottolineare il fatto che “Itaker” è stata una coproduzione con la Romania che, uscita dalla dittatura comunista alla fine degli anni ‘80, aveva dovuto rimettersi in piedi proprio come l’Italia dopo la guerra e ricostruire una propria identità, subendo uno dei fenomeni migratori più importanti e dolorosi degli ultimi anni. Entrambe le coproduzioni durante la lavorazione del film avevano preso a cuore il tema affrontato e questo è stato molto bello.

Ci hai raccontato che stai lavorando ad una nuova regia. Puoi anticiparci qualcosa?

Certamente. Essendo ancora in fase di lavorazione posso solo dire che il film parla di una ragazza italiana che scopre di avere un padre marocchino e quindi parte per il Marocco per andarlo a cercare. Farà une serie di incontri che la cambieranno e il viaggio la metterà alla prova come non le era mai successo…

Anche qui ritorna il tema dell’identità. In “Itaker – Vietato agli italiani”, però, il bambino alla fine rifiuta di incontrare suo padre…

Non vuole più incontrarlo perché in realtà era stato abbandonato proprio da lui – cosa che si può intuire dalla storia da una serie di elementi narrativi – e infatti poi decide di rimanere con Scianna perché riconosce in lui una figura di cui si può fidare.
La ragazza del mio nuovo film, invece, il padre non lo ha mai conosciuto per una serie di motivi. Questi due personaggi hanno un vissuto molto diverso. 

Sempre in “Itaker – Vietato agli italiani”, la scena del bambino che fa finta di piangere per aiutare Scianna a vendere le stoffe è molto divertente. Come ti è venuta in mente?

Vedi, molte volte le cose nascono per caso. Un giorno, durante le riprese, l’attore che interpretava Pietro mi raccontò che proprio a scuola gli avevano insegnato questo piccolo trucco e così io decisi di inserirlo nel film (ride).
Documentarsi e fare ricerche è fondamentale per una buona riuscita di un film, ma lasciare spazio all’imprevisto, è altrettanto importante (se questo non compromette la storia).

Consiglio n. 2

Tornando alla fase di ricerca delle fonti per scrivere un storia, per il film “Vallanzasca – Gli angeli del male” hai avuto la possibilità di incontrare di persona il famoso criminale milanese Renato Vallanzasca…

L’ho incontrato due volte, insieme a Michele Pacido (regista del film) e a Kim Rossi Stuart (l’attore che interpreta Vallanzasca), e l’ho sentito una volta al telefono. In quel periodo Vallanzasca era in semilibertà. È un criminale, certo, ma anche una persona estremamente affascinante, un grande affabulatore, con enormi difficoltà a vivere nel mondo contemporaneo dopo aver trascorso gran parte della sua vita in carcere.
Comunque, in uno di questi due incontri, Vallanzasca si è alzato dallo sgabello e si è incominciato a spogliare. Si è tolto il golfino, la camicia, il pantalone – c’erano tante cicatrici da arma da fuoco sul suo corpo – e mentre faceva tutto questo indicava una ferita e diceva “vedi, questa è stata Piazza Vetra” e subito dopo ne indicava un’altra e diceva “vedi, questa è stato il casello di Dalmine”.
Quell’incontro ci ha dato una chiave “visiva” per raccontare un personaggio complesso, anche pericoloso in qualche modo, proprio per il fascino di cui dicevo prima. Il mio secondo consiglio per chi scrive una sceneggiatura, è proprio il trucco della sintesi: trovare un’immagine che sintetizzi il tema trattato nella storia che stai raccontando – nel caso di Vallanzasca era l’autodistruzione di un uomo che ha scelto il crimine come modo per vivere –  è fondamentale. Ci siamo molto sforzati in questo durante la scrittura del copione, il pubblico e la critica, infatti, hanno apprezzato molto il film. 

Sulla sinistra il criminale Renato Vallanzasca e sulla destra l’attore Kim Rossi Stuart in una scena del film “Vallanzasca – Gli angeli del male”

Consiglio n. 3, 4, 5

Quindi, prima hai detto che è molto importante partire da fatti reali, raccogliere materiale e fare ricerche e poi ora hai parlato della sintesi, ovvero la capacità di “scrivere e pensare per immagini”. Se dovessi dare altri tre consigli pratici per chi si trova ad affrontare un copione, cosa gli diresti?

Come terza cosa gli direi di costruire una struttura narrativa solida, che riesca a reggere tutto il film. Scrivere una sceneggiatura non ha niente a che vedere con una scrittura letteraria, anzi, è molto simile al lavoro di un architetto: devi prendere prima bene le misure di quello che vuoi raccontare, immaginare e creare strutture che reggano. Infatti, la scrittura del copione è solo la parte finale di un lungo lavoro che consiste prima nello scrivere la sinossi, poi il soggetto, infine la scaletta e il trattamento.
Il quarto suggerimento, invece, è essere sempre consapevoli del genere a cui appartiene la tua storia e rispettare le regole di genere. Certo, si possono stravolgere le norme – alcuni registi lo fanno – ma dovrai essere ancora più attento per essere capito dal tuo pubblico.
Come ultimo consiglio, invece, mai dimenticarsi che in un film, tutto deve essere facilmente riconoscibile, cioè devi creare un mondo emotivo che tutti gli uomini possono riconoscere. Per esempio, i personaggi “cattivi’ di “Vallanzasca” o di “Romanzo Criminale” li sentiamo vicini perché, nonostante tutto, si portano dentro un bagaglio emotivo che è uguale a quello di tutti gli altri esseri umani. Loro amano e soffrono come tutti, soltanto che rispetto a noi, hanno valicato quel limite dal quale poi non si può tornare più indietro.
Certo, non c’è un modo canonico per scrivere un film. Ma ci sono alcune regole imprescindibili. Ci sono tanti, troppi manuali che spiegano come scrivere una storia. Io, insegnando in una scuola di cinema a Roma, consiglio sempre ai miei studenti di leggere “Save the cat” di Blake Snyder, un manuale di sceneggiatura molto utile
(da rispolverare sempre, anche per i professionisti del settore).

Sui personaggi “cattivi”, è molto esplicativa la frase che dice il personaggio Vallanzasca alla fine del film: “Io non sono cattivo, ho solo il lato cattivo un po’ pronunciato. Sono come quegli angeli affascinati dal buio”…

È vero (ride), ovviamente chi scrive trova spesso una dimensione letteraria e poetica nella stesura di un dialogo o di un dettaglio nella storia. Mai dimenticare, però, che l’obiettivo di un film è di risvegliare la nostra coscienza critica su temi o fatti storici che riguardano l’umanità intera.

Alcuni episodi recenti hanno avuto appunto il potere di risvegliare le menti e di aprire dibattiti su temi delicati come quello che hai affrontato nel film “7 minuti”, che si ispira ad una storia realmente accaduta in Francia, a Yssingeaux, dove alcune operaie improvvisamente si sono trovate senza lavoro. La storia è tratta dall’omonimo testo teatrale di Stefano Massini (attuale consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano). Ci racconti la tua esperienza nel fare la trasposizione cinematografica di un testo teatrale?

La scrittura per il teatro e quella per il cinema sono completamente diverse. Un copione teatrale è costruito dando molto peso alla parola e alle persone che le daranno corpo sulla scena, mentre quello cinematografico lavora soprattutto sull’azione e sul “sottotesto”.
Noi sceneggiatori, infatti, ci occupiamo della cosidetta “scrittura invisibile”, ovvero di una scrittura che non si vede sullo schermo e che rimane “tra le righe”,  senza la quale il regista e altre figure di riferimento non potrebbero lavorare alla produzione del film perché, come detto prima, il copione è l’architettura di tutta la storia. 

Una scena del fim “7 minuti”

Rispetto al testo teatrale però avete fatto molte modifiche…

Sì, Michele Placido (regista del film), non voleva un finale aperto come quello dell’opera teatrale: regalare con la nostra storia un po’ di speranza e dare proprio questa possibilità alla protagonista più giovane ci era sembrato un bel messaggio soprattutto per la generazione di adesso.
Poi, abbiamo deciso di ambientare la storia a Roma invece che in Francia, e questa scelta è stata utile sia per noi che dovevamo scrivere il copione, sia per le attrici: abbiamo fatto tutti insieme molti sopralluoghi in una fabbrica a Latina che stava per chiudere e per chi scrive e per chi deve interpretare un ruolo è fondamentale conoscere che cosa devi raccontare.

Per Kim Rossi Stuart , per esempio, sono stati fondamentali gli incontri con Vallanzasca, poi sta alla bravura dell’attore saper cogliere certe sfumature e metterle in scena.
Anche per me, per il film al quale sto lavorando, sono stati essenziali tutti i viaggi che ultimamente ho fatto in Marocco: mi sono serviti per cogliere gli umori e i colori che poi la mia protagonista dovrà essere capace di trasferire nel suo personaggio. 

Com’è il tuo rapporto con gli attori? Quando scrivi hai già un’idea in mente di chi può interpretare un ruolo piuttosto che un altro?

Certo, mentre scrivo mi vengono in mente dei volti. A volte, invece, – anche se in Italia non succede spesso – ho scritto il copione proprio insieme agli attori, per esempio con l’attuale attrice che ho scelto per il mio nuovo film e prima ancora con Kim Rossi Stuart per “Vallanzasca”.
Scrivere la sceneggiatura insieme all’attore che dovrà interpretare il ruolo a cui tu hai pensato è un’ottima occasione di scambio di opinioni che possono senz’altro aiutare per creare una personaggio ancora più verosimile e autentico. In generale, quando ti viene in mente un’idea, il “brainstorming” è un passaggio fondamentale perché il dibattito aiuta a creare una storia ancora più convincente e forte.

Ci hai lasciato 5 consigli pratici su come scrivere un copione. Ma il segreto di un bravo sceneggiatore sta solo nel rispetto di alcune regole o c’è dell’altro?

Esistono molti manuali di sceneggiatura, ma la scrittura non è solo una questione tecnica. Insieme alla ricerca di fonti affidabili e al rispetto di alcune regole classiche da seguire, infatti, non bisogna dimenticare che dietro la scrittura c’è sempre la sensibilità di una persona che parte sempre dal proprio vissuto e dalle proprie esperienze individuali.
L’amore per il cinema, per i dettagli, la curiosità e l’attenzione attraverso il quale ci si rapporta con il mondo non possono mai mancare a chi vuole prendere sul serio questa professione. In generale, consiglio di mettersi in gioco e trovare sempre qualche suggestione che riesca poi a scuotere le coscienze e gli animi. Solo così ha senso raccontare una nuova storia. 

Noi del team di Tutelio auguriamo a Toni Trupia tutte le soddisfazioni che si merita.