Eventi culturali e diritto d’autore nella street art

Antonella Sciarra, sociologa, giornalista e fondatrice di Alinea, associazione al femminile che si occupa di eventi artistici, culturali e sociali, ci racconta come si può sopravvivere al tempo del coronavirus.

A casa ti stai facendo assalire dalla noia o dallo sconforto? Bene, usa questo momento per essere più produttivo e lascia spazio alla creatività. Ci sono tantissimi concorsi e call for artist anche con scopi sociali a cui puoi partecipare.

Antonella Sciarra ne sa qualcosa, visto che di eventi ne ha organizzati parecchi, a partire dalle sue prime esperienze da giornalista appassionata di arte e cultura.

Con Alinea, ha ideato, realizzato e collaborato a eventi tra cui Strega OFF, Street Art for Rights, Nimbus – Mostra mercato dell’immaginario, e ha maturato collaborazioni con creativi e realtà affermate quali la galleria Uovo alla Pop di Livorno, Bacteria e tante altre.

Il nome Alinea viene da un simbolo tipografico che ha viaggiato attraverso le epoche, è la semplicità del primo tratto, l’essenza di un punto fermo da cui ripartire.

Alinea crede che si possa sempre ricominciare, dalla creatività.

1. Cara Antonella, cosa significa per te Alinea?

Alinea è il nome di un simbolo tipografico (nello specifico questo qui: ¶ ) che significa “a capo”, “da capo”, l’indicazione a passare al rigo successivo. È un segno che concettualmente rappresenta l’inizio di un nuovo filo logico. Per questo lo abbiamo scelto come nome della nostra associazione culturale: l’intento è di ripartire dalla creatività per offrire eventi che abbiano un valore per il pubblico.

Eventi di Alinea

2. Di quali eventi si occupa principalmente Alinea?

Per lo più di eventi legati ad arte contemporanea e letteratura, con una particolare attenzione verso l’aspetto sociale. Nello specifico ci occupiamo di festival, manifestazioni letterarie, mostre, progetti di street art (o meglio, arte pubblica) e iniziative a sfondo sociale, che combattano le discriminazioni e sostengano le minoranze.

Inoltre, cerchiamo sempre di creare eventi immersivi, fortemente tematizzati, che siano in grado di calare il pubblico in una precisa atmosfera: che si tratti di una mostra mercato tra nuvole e mongolfiere, di un set lynchiano tra tende rosse e angoli segreti, o di un festival di arte pubblica con opere e installazioni disseminate tra le vie della città.

Eventi di Alinea

3. Parlaci di Strega Off che stai organizzando … qual è la particolarità di questo evento?

Sì, al momento stiamo lavorando all’edizione di quest’anno ma, visto il periodo, per adesso possiamo solo incrociare le dita…
Ad ogni modo, Strega Off è organizzato da un gruppo di professioniste del settore editoriale e degli eventi. Oltre me ci sono Laura Fidaleo, Marzia Grillo, Veronica La Peccerella, Alessandra Pierro e Chiara Rea, mentre la veste grafica è di Mara Becchetti. L’idea è nata con l’intento di riscrivere le regole del Premio Strega, la più prestigiosa e discussa manifestazione letteraria italiana.
Volevamo soprattutto realizzare un evento inclusivo: infatti il voto OFF è aperto non solo al pubblico ospitato dal giardino di Monk, ma anche a una selezione di librerie indipendenti e riviste letterarie e, dalla seconda edizione, è diventato uno dei voti ufficiali che contribuisce a determinare il vincitore del Premio Strega.

Inutile dire che questo ci ha reso particolarmente felici.
Inoltre, la nostra è una serata aperta a tutti, che si propone di offrire contenuti di qualità in un contesto divertente, con talk, concerti e degustazioni tematiche. In tre edizioni abbiamo ospitato grandi nomi del panorama culturale, come Helena Janeczek, Elly Schlein, Francesca Mannocchi, Paolo Di Paolo, Giulia Ananìa mentre, dalla scorsa edizione, gli ospiti d’onore della serata sono i cinque scrittori finalisti del Premio Strega.

Strega Off

4. Di recente, il Vaticano ha usato un’opera della street artist Alessia Babrow senza citarla come autrice. Ci puoi dire cosa pensi riguardo il diritto d’autore per chi fa street art? Per gli street artist, pensi sia utile proteggere la paternità delle loro opere?

Intanto mi fa sorridere perché conosco Alessia e immagino la sua faccia quando è venuta a sapere dell’accaduto. Per usare le sue parole, sembra “una soap opera sudamericana, El Sello Papal”.
Ironia a parte, ovviamente non mi sembra lecito né etico utilizzare l’opera di un artista senza il suo consenso, a maggior ragione per attività con scopi commerciali. In breve, se non riesci a rintracciare l’autore, quell’opera non la utilizzi.
Non è un caso che il nostro ordinamento preveda che anche le opere di street art godano della protezione del diritto d’autore, che addirittura sussiste persino nei casi di lavori non autorizzati.

Solitamente gli artisti urbani non sono grandi sostenitori del copyright: il fatto stesso che operino per strada è un chiaro segnale ideologico.
La loro intenzione è quella di regalare la propria opera alla comunità e uscire dai circuiti tradizionali, come musei e gallerie. E poi c’è anche la consapevolezza della natura effimera delle loro opere che, in un contesto urbano, sono esposte alla distruzione per mano del tempo, della pioggia, dei cittadini, delle circostanze e anche di altri street artist.
È una scelta voluta, che rimanda anche al modello di open source come libera circolazione delle idee. Ma allo stesso tempo credo che molti di loro (tutti?) intendano offrire le proprie creazioni alla gente, non certo a chi intende lucrarci, magari immettendole proprio nel mercato a cui loro volevano sottrarle. E per evitare questo non possono che proteggerle.

5. Puoi raccontarci qualche aneddoto al riguardo?

Il caso più emblematico degli ultimi anni si è verificato a Bologna nel 2016, anno in cui sono state “strappate” dai muri le opere di noti artisti per esporle in una mostra sulla street art, spesso senza il consenso degli autori. Uno di loro, Blu,è andato a Bologna e ha cancellato i suoi lavori rimanenti come protesta.
È stato un atto di denuncia contro la privatizzazione della street art che, oltretutto, perde di senso se decontestualizzata senza criterio dal supporto e dal luogo originario: la sua natura si perde nel passaggio dalla strada al museo. È anche vero che ci sono delle eccezioni, delle forme opportune di tutela e conservazione per valorizzare e riconoscere questo tipo di opera. Tutto dipende da come le si attua.

6. Secondo te quale sarà il futuro dell’arte urbana dal punto di vista del diritto d’autore?

Attualmente è una forma di espressione riconosciuta a tutti gli effetti, sdoganata fino al punto che si è arrivati anche ad “abusarne”.
Visto che il diritto nasce per regolamentare fenomeni, relazioni e costumi diventati consuetudini, credo sia inevitabile che ci siano sempre più norme specificamente legate a questo ambito, ad esempio nel complesso rapporto tra diritto d’autore e diritto di proprietà.
Non a caso, negli Stati Uniti sin dal 1990 è in vigore la norma VARA (Visual Artists Right Act) che garantisce determinati diritti agli artisti, probabilmente anche perché gli USA hanno avuto un ruolo pionieristico nell’arte di strada durante gli anni ’70 e ’80 con il graffitismo newyorkese, di cui Keith Haring e Jean-Michel Basquiat furono i più famosi esponenti.

La VARA, prima legge federale a difendere il diritto morale degli artisti, prevede anche il diritto degli autori (di opere di “riconosciuta importanza”) di opporsi alla loro distruzione in determinate condizioni. Proprio per questo, di recente, c’è stata una sentenza storica: il proprietario di 5Pointz (iconico edificio del Queens, diventato mecca mondiale dei graffiti) è stato condannato al pagamento di 6,7 milioni di dollari per aver cancellato le opere di alcuni tra i più rinomati writers della scena underground newyorkese.

7. Cosa ne pensi del mitico Banksy? Lui ha un rapporto particolare con il diritto d’autore e persino con il suo pubblico…

Onestamente non è il mio artista preferito perché sia sul piano estetico che su quello concettuale mi interessano messaggi meno immediati, più stratificati e complessi.
Credo che l’arte debba suggerire nuove domande piuttosto che offrire delle risposte. Ma questa è anche la grandezza di Banksy: la capacità di saper arrivare a un pubblico di portata mondiale lo trasforma in un fenomeno da studiare prima ancora che in un artista da amare o meno. Allo stesso modo, l’anonimato accresce l’alone di mistero e fascino della sua figura ma genera anche diverse questioni intorno al suo rapporto con il diritto d’autore.

Banksy non è certo un fautore del copyright, ma il suo nome e le sue opere più famose sono registrate come marchi di cui è titolare la società Pest Control Office Limited, incaricata della gestione dei suoi diritti e del complicato binomio ufficiale/nonufficiale.
È senza dubbio un abile paraculo e un grande comunicatore, in grado di giocare volontariamente con gli stessi codici del sistema che critica, per prenderlo in giro. Secondo me sta già pensando al prossimo scherzetto.

8. In Italia sono più noti gli street artist uomini, ma tu hai collaborato con diverse artiste donne: puoi farci qualche nome? E poi, più in generale, quali sono quelli che segnaleresti?

È un’annosa questione, come ci insegnano le Guerrilla Girls sin dagli anni ’80. In realtà le street artist ci sono eccome, per esempio prima hai citato Alessia Babrow.
Sono italiane anche alcune tra le più brave e affermate, come MP5 e Gio Pistone. Tra quelle particolarmente talentuose con cui ho avuto il piacere di lavorare a progetti di arte pubblica ci sono artiste provenienti da diverse discipline (pittura, fotografia, illustrazione, grafica) come Libertà, Barbara Oizmud, Elisa Muliere e Chiara Anaclìo.

Per rispondere alla seconda domanda, citerei invece i Guerrilla Spam per la competenza e la forte attenzione all’aspetto sociale, e Biancoshock per l’impatto visivo, la sperimentazione e l’approccio site-specific.
Nel panorama internazionale, invece, apprezzo moltissimo il filone esteuropeo e quello iberico, per l’alta qualità tecnica ed espressiva: nel primo caso il collettivo polacco Etam Cru composto dagli artisti Sainer e Bezt, e gli ucraini Waone e Aec (ex duo Interesni Kazki), mentre per quanto riguarda la scuola spagnola, Borondo, Escif, Isaac Cordal e Cinta Vidal.

Chiara Anaclìo (sinistra) e Barbara Oizmud (destra) presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma

9. Durante il Festival Art On a Cascina (Pisa) del 2015 avete portato l’arte nelle strade. Come vedono la street art le organizzazioni delle regioni? È stato difficile ottenere i permessi?

I permessi non sono mai semplici da ottenere in Italia, vista la rigidità e lentezza della nostra burocrazia. A volte ci sono vincoli della Sovrintendenza, in altri casi sono necessarie riunioni di condominio tranquille come un incontro di wrestling.
In quel caso abbiamo avuto la fortuna di dialogare con un’amministrazione “illuminata” che ha condiviso il valore dell’arte urbana e ci ha supportato parecchio.

Ma non è sempre così: capita spesso che i comuni non mantengano le promesse fatte, o che vedano i murales come una operazione di “riqualificazione” (che brutta parola) a basso costo per ottenere consenso in campagna elettorale, senza poi preoccuparsi di un reale lavoro sul territorio. Insomma, un’operazione di facciata.
Sono anche stata fortunata a organizzarlo con le ragazze della galleria Uovo alla Pop di Livorno, che scelgono sempre artisti di qualità e progetti inclusivi per la comunità, riportando davvero l’arte tra le mani della gente.

Opera dei Funky Fresh Factory per Festival Art On. Foto di Due su Due.

10. Qual è stata l’esperienza più bella che hai vissuto nell’organizzare un evento?

Se devo scegliere un singolo episodio, mi torna in mente il Festival di Arte pubblica Art On del 2015, quando abbiamo avuto dei ritardi con i permessi per uno dei muri su cui dovevamo lavorare.
Non potendo più attendere, abbiamo corso il rischio di far iniziare comunque l’opera all’artista a cui era assegnato, Elisa Muliere.
Al secondo giorno di realizzazione si è presentata la proprietaria dell’edificio, che ha minacciato di denunciarci tutti e poi è sparita. Abbiamo anche provato a parlarle, ma non ha mai risposto.

A quel punto non avevamo più scelta, così abbiamo lasciato che Elisa terminasse l’opera. Nella peggiore delle ipotesi avremmo ripristinato la parete dopo il festival.
La proprietaria è rimasta latitante per settimane e noi siamo rimaste con la certezza che prima o poi avremmo preso un caffè in questura.
Un mese dopo è arrivata una telefonata dal comune di Cascina… la signora, dopo aver visto il murales, non solo ha deciso di tenerlo, ma anche di offrire un’altra parete per una nuova opera.
Ecco, in ogni evento succede qualcosa che mi ricorda il perché di ciò che facciamo, e quasi sempre riguarda la reazione del pubblico.

Cara Antonella, in bocca al lupo per tutto! Viva il women power!

* Credits to Mara Becchetti, illustratrice e grafica dell’associazione Alinea (per l’immagine di copertina dell’articolo).